Join up ( a cura di Lucia & Roberto)

Il "Join up" (traducibile con il termine italiano "unione") è una tecnica di doma dolce, messa a punto da Monty Roberts. Questo famoso esperto conoscitore dei cavalli, autore di diversi libri, tra cui “L'uomo che ascolta i cavalli” (Rizzoli, 1998), sostiene che, inducendo l'animale ad allontanarsi ( per esempio lanciando verso di lui un capo di una longhina, senza raggiungerlo) ed utilizzando uno specifico linguaggio del corpo ( che Roberts ha denominato "linguaggio equus"), si instaura una relazione “comunicativa” tra operatore e cavallo, che Roberts chiama “Join up”.
Il fine di tale "dialogo", sempre secondo Roberts, è stabilire la leadership all'interno della coppia.
Il linguaggio equus parte da due modelli fondamentali del cavallo: l'esigenza di libertà e l'esigenza di avere un "capobranco".
Nella fase iniziale (Join up) si fa leva sul primo modello, per cui si spinge il cavallo ad allontanarsi da noi, facendolo sentire libero di scappare e/o di reagire. Allo stesso tempo il nostro sguardo e la nostra attenzione sono rivolti totalmente verso di lui, facendolo sentire al centro del nostro interesse.
Se siamo abbastanza bravi, questo equivale a dirgli: "mi sto proponendo come tuo capo branco. Non voglio farti del male, ma sappi che sono un tipo VERAMENTE determinato!".
Se risulteremo convincenti, il cavallo poco a poco comincerà a rallentareed ad un certo punto si fermerà, si posizionerà in maniera tale da poterci osservare bene e si avvicinerà lentamente, tenendo il capo chino, dimostrandoci la sua intenzione di entrare in contatto con noi.
A questo punto, per verificare l'effettiva sottomissione del cavallo, è necessario accarezzarlo in prossimità delle zone di predazione (collo e natiche), zone che generalmente suscitano reazioni di paura in un animale-preda, in quanto è lì che un predatore naturale punta per l'attacco.
Accarezzandolo in questi punti, comunichiamo al cavallo le nostre intenzioni: non di aggressione, ma di difesa e protezione.
Il passo successivo è la "consegna delle armi": gli zoccoli. Per un cavallo i suoi zoccoli rappresentano l'unica arma di difesa contro un potenzialòe nemico: consegnarli e "affidarli" nelle nostre mani significa dimostrarci la totale fiducia. L'unione è avvenuta. 
Ora si è entrambi pronti all'attivazione del secondo modello mentale: il cavallo ci seguirà in qualsiasi nostro spostamento, senza coercizioni, lo farà spontaneamente e volentieri, comportandosi proprio come farebbe con il capo branco, perchè noi adesso SIAMO il suo capo branco. Questa è la seconda, fondamentale parte dopo il Join up: il "Follow up" (letteralmente "seguire"). Se il cavallo non ci segue, significa che forse abbiamo conquistato la qua curiosità ed il suo interesse, ma non il suo rispetto, indi per cui... bisogna ricominciare da capo! (N.B.: è importantissimo ricominciare, perchè lasciar perdere significherebbe per il cavallo: "ho vinto io, per cui il capo branco sono io". ...).
Raggiunto il Follow up, si può salire in sella anche senza tanti finimenti, filetti o morsi, nè frustini o speroni, perchè il cavallo è con noi, per sua scelta, per sua volontà, per suo desiderio... e sarà ricettivo ad ogni sussurro del nostro corpo, perchè l'unione tra lui e noi è completa, perchè adesso siamo una cosa sola, come un centauro metà uomo e metà cavallo, che porta in sè il meglio delle due specie: la libertà!


QUALCHE DETTAGLIO:

La tecnica del “Join up” si fonda su un principio di comunicazione tra uomo e cavallo.
Gli indiani della regione a nord di Battle Mountain insegnarono a Monty Roberts i principi della tecnica per la cattura dei mustang selvaggi, tecnica che successivamente lo stesso Roberts definirà “dell'avanzare e ritirarsi”.
Tale tecnica consiste nell'allontanare da una trappola a forma di imbuto, (costruita con pali legati assieme, lunga circa un quarto di miglio) per almeno un'intera giornata, il branco di cavalli selvaggi. A questo punto gli inseguitori invertono la direzione, tornando indietro. Il branco allora li segue, mentre la trappola viene completata, disponendo alcuni cavalieri in posizione idonea ad accerchiare la mandria.
Questo, secondo Roberts, avviene perchè la prima reazione di un animale da fuga nei confronti di un predatore è quella di fuggire velocemente, per evitare il pericolo. Una volta che l'attacco è stato evitato, l'animale da fuga tende a fermarsi ed a guardare indietro per valutare la situazione. Generalmente poi i cavalli tornano sui loro passi, verso la zona dell'aggressione, probabilmente per cercare di individuare la natura del loro aggressore, attraverso le sue tracce, valutando ogni indizio.
Questo fenomeno è indicato da Roberts con il nome di “avanzare e ritirarsi, e ha una parte essenziale nel processo della “comunicazione” che avviene durante la sessione del ”Join up”. 
Il Join up, secondo Roberts, è il risultato di una comunicazione in un linguaggio condiviso, che stabilisce un legame basato sulla fiducia. Non è violento nè coercitivo e si può raggiungere solo cercando di capire le esigenze del cavallo, le sue regole e cercando di lavorare dentro i suoi schemi e di comunicare con il suo “linguaggio”.
Per questi motivi ritengo che conoscere il lato maggiormente sensibile dell'animale, mediante le tecniche di Monty Roberts, possa contribuire a capire prima, rispettandole, de esigenze percettive e comunicative del cavallo, ottenendo da lui una collaborazione e fiducia, che le dome tradizionali non sempre raggiungono.
La tecnica, nota come “Join up”, suscita inizialmente una risposta di fuga nel cavallo, che gradualmente comunica all'uomo il desiderio di affidarsi a lui, fino ad avvicinarsigli spontaneamente e successivamente a seguirlo, attribuendogli la funzione “di capobranco”.
Per dare un'idea dell' esecuzione del Join up, allegherò alcune immagini, al più presto...
Nella prima fase si invita il cavallo ad allontanarsi dall'addestratore, stimolandolo con un atteggiamento determinato, con le braccia allargate, le mani aperte nella sua direzione e guardando intensamente verso il suo posteriore.
In un primo tempo gli si dà una certa pressione ed il cavallo si allontanerà il più possobile lontano dall'uomo, per poi restringere gradualmente il cerchio, rallentando l'andatura e tenendo l'uomo sotto controllo, con l'orecchio interno girato verso di lui. Successivamente abbasserà la testa fino ad annusare il terreno e farà il gesto di masticare.
A questo punto l'operatore cesserà di dargli pressione, abbasserà le braccia ed eviterà di guardarlo, permettendogli di avvicinarsi. 
Quando il cavallo si avvicinerà, l'operatore ruoterà il corpo di 90 gradi, ponendosi quasi di spalle rispetto al cavallo. 





















 Solo quando sarà stato raggiunto, lo rassicurerà, accarezzandolo. 
                                                                                  






USO E PROPRIETA' DEL MORSO
Per rispondere a quanto chiesto da Carlo, cercherò di approfondire questo argomento, che mi sta molto a cuore. Il morso agisce in diversi punti della bocca del cavallo: esercita pressione sulle barre, sulla lingua e sul palato. Queste pressioni sono accentuate dall'uso del barbozzale, applicato ad agire come fulcro sul solco mentoniero. Se il cavaliere non è in grado di dosare la forza su queste leve, il morso può provocare traumi importanti, fino alla frattura della mandibola. La pressione sul palato agisce come fulcro della leva, potenziando la pressione sulle barre. Il morso viene posizionato più in basso rispetto al filetto, per aumentarne la leva e quindi di conseguenza l'azione dolorosa. 
( immagine tratta da Robert Cook FRCVS, Ph D)  Si notano gli speroni ossei provocati dal metallo, l' erosione dei primi tre denti a sinistra e l'avulsione di quelli di destra. (Ti hanno mai raccontato che il cavallo schiuma perchè gioca con l'imboccatura, perchè gli piace?). Questo ci spiega perchè il cavallo alza la testa, apre la bocca e cerca di sfuggire all'imboccatura.                              
                                                                                                                                           Per ovviare a queste reazionisi usa il chiudibocca e, per evitare che il cavallo alzi la testa, si usa la martingala. Bisogna dire che anche questi artifici non sempre riescono a risolvere il problema. Più avanti ti spiegherò come si agisce direttamente sul cervello del cavallo, annullandone la volontà, ma per ora mi sembra già troppo quello che ti sto facendo digerire...                








7 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao!Ho trovato questo"articolo" molto interessante...
Proprio ieri sera su Super Quark hanno fatto vedere l'allevamento di mandrie di cavalli nelle praterie mongole.I pastori nomadi mongoli, però,utilizzano tecniche di cattura e di doma all'"antica":inseguono il cavallo che intendono catturare come dei cacciatori, lo"braccano" e in gruppo lo prendono al lazzo,lo "trascinano" fino ad un albero, legano zampe anteriori e collo e lo lasciano lì finchè non si sottomette per...disperazione!!!
Mi chiedevo,dopo aver letto il vostro articolo, se fosse possibile avvicinare e domare con il join up anche i "ribelli" cavalli mongoli, o se fosse una tecnica troppo dispendiosa in tempo ed energie per dei pastori nomadi...
Gazie

Roberto libri ha detto...

Grazie anonimo, sono contento che tu abbia sollevato questo problema. Purtroppo la pratica della doma "tradizionale" è ancora oggi estremamente diffusa e non tende a recedere.
La fondamentale differenza tra quello che hai visto in TV o presso molti dei nostri addestratori rispetto la doma dolce è l'abilità, nella doma tradizionale, di annullare la volontà del cavallo, tanto da renderlo docile ed inoffensivo, praticamente un idiota, mentre nella tecnica della doma dolce il cavallo viene convinto ad unirsi a noi di sua volontà, senza annullare la propria personalità (nè la sua dignità).
Questa tecnica è estremamente più rapida, efficace e duratura: in mezz'ora solitamente riusciamo a convincere un cavallo non ancora domato ad accettarci sulla sua groppa.
Forse pima o poi, come è già successo nelle scuole, non vedremo più maestri che bacchettano gli alievi.

Horsemanship

Anonimo ha detto...

Grazie della tua risposta,Horsemanship.
Ma adesso mi hai incuriosito veramente!
Scusa, intendi dire che una doma dolce è più rapida, efficace e duratura di quella che normalmente viene attuata e che, nonostante ciò, si continua sulla vecchia e "dolente" strada?!
Scusa la mia ignoranza, visto che di cavalli non ne sò un gran chè, ma perchè continuare ad utilizzare un metodo meno efficiente?Mha, misteri del genere umano...
Ho un'amica che và a cavallo da molto tempo,mi sembra faccia "monta americana":andando a vederla,ho notato che la sua cavalla era piuttosto reticente ad eseguire i comandi che lei le dava, e così il suo istruttore le ha fatto mettere degli speroni..La cosa mi ha fatto un pò impressione, ma lui ha sostenuto che la pelle del cavallo è dura e quindi lo sperone non reca alcun fastidio all'animale...A me, però, è sembrato che la cavalla non fosse della sua stessa opinione!!
Posso chiederti cosa ne pensi in merito?Non sarebbe forse stato meglio fare un "join up" piuttosto che ricorrere alla "tortura"?!O in certi casi il "join up" è inefficace?
Grazie.

Roberto libri ha detto...

Caro anonimo,
innanzitutto devo avvertirti che quello che ti dico è un'opinione personale.
L' uso di metodi coercitivi è utile, se non necessario, quando siamo incapaci di comunicare con altri esseri. Se non conosciamo la lingua del nostro interlocutore, sarà più facile spintonarlo, invece di chiedergli gentilmente di allontanarsi, oppure dargli una sonora frustata, invece di chiedergli di andare più veloce.
Se poi temiamo il nostro interlocutore, abbiamo capito che, se ha paura di noi, questo ci fa sentire più grandi, fotri e "dominanti".
L'arte del "comando" prevede molti mezzi, spesso ingegnosi: un cavallo che corre guardando davanti a sè, ovviamente con la testa in posizione naturale, può dimenticarsi di essere sotto il nostro potere. Così abbiamo a disposizione un efficace attrezzo che, ogni volta che il cavallo alza la testa, gli si configge sul palato e lo riduce istantaneamente all'obbedienza, sopratutto se non può aprire la bocca, perchè abbiamo avuto cura di chiudergliela con una cinghietta.
Ricordati però di non abusare di questi mezzi, perchè purtroppo il cavallo nel tempo si insensibilizza, costringendoci così ad escogitare sistemi sempre più efficaci (gli americani ad esempio hanno inventato il morso "cathredral", che però non puoi usare nei concorsi).

Anonimo ha detto...

Buon giorno,
mi chiamo Carlo e ho appena cominciato ad andare a cavallo.
Innanzitutto devo dire che ho letto con piacere il Suo articolo.
Secondariamente volevo chiederLe delle informazioni a proposito del "famigerato" cathredral, in quanto io credevo, fino a poco tempo fà, che fosse solo una "burla" del mio amico Nicola,atta a provocarmi disgusto..!
Il mio amico me l'ha presentato come un "aggeggio" di tortura, ma penso che abbia esagerato solo per impressionarmi...
Comunque sarei interessato a saperne di più, per cui Le sarei molto grato se potesse darmi qualche informazione in merito.
La ringrazio
Carlo

Anonimo ha detto...

ciao ho letto il suo articolo e l'ho trovato molto interessante... quindi vorrei chiederle un consiglio, io ho questo problema :
Ho preso due mesi fa una cavalla di 3 anni, mi avevano detto che aveva un bel carattere però non fino al punto che ho visto io. All'inizio appena portata a casa era molto debilitata perchè il posto dove veniva tenuta era messo male e veniva dato poco da mangiare. Fino a una settimana fa circa si è comportata sempre bene! ultimamente le abbiamo portate in un altro prato a pascolare perchè visto che ne abbiamo la possibilità preferisco lasciarle libere, però è un pò di giorni che è impazzita cerca di scappare spaccando staccionate, o legata alla corda per liberarsi ha cercato di strangolarsi! ora non riesco a capire perchè sia diventata così visto che la curiamo e la trattiamo sempre bene! ed è libera con un altra cavalla che non ha cambiato per niente il comportamento. Oltre a tutto ciò questo posto è frequentato da un vecchio contadino rimbambito che ho paura le abbia fatto qualcosa! e da considerare che è diventata il triplo di quello che era prima ed è notevolmente più forte. Ora vi chiedo un consiglio cosa posso fare? come mi comporto con lei?

Roberto libri ha detto...

Cercherò di rispondere come posso, sulle basi di quanto mi hai riferito.
Il dato più evidente è che la cavalla sta reagendo ad una situazione di grande disagio, tale da preferire la fuga.
Questa reazione può essere stata determinata precedentemente all'acquisto e non essersi manifestata solo per uno stato di debolezza fisica.
Una volta riacquistate le energie, la cavalla ha manifestato i suoi problemi.
Questo atteggiamento può esser stato anche determinato da maltrattamenti recenti, ma mi sembra meno probabile.
Qualunque sia stata la causa, la cosa più importante è che tu riesca ad entrare in sintonia con la cavalla, infondendole fiducia. Agisci gradualmente, senza pensare a quanto tempo ci metterai.
Come fare? Sono convinto che, tra i tanti metodi, quello di Monty Roberts si presti più di tutti per il recupero di animali traumatizzati.
Non è solo un metodo, ma una filosofia di vita, che possiamo applicare anche ai nostri simili.
Vorrei che tu leggessi "Join-up" di Monty Roberts (con qualche difficoltà lo trovi in libreria) e che cominciassi ad applicarlo con convinzione.
Domani entra nel paddok e allontanala, continua a farlo, lasciando a lei la libertà di allontanarsi da te. Se il pascolo è molto grande, sarebbe più efficace farlo in un recinto piccolo (l'ideale sarebbe un tondino da 18 m.).
Dopo una prima fase di fuga, gradualmente la cavalla ti lancerà segnali di accettazione, finchè ti si avvicinerà e si lascerà accarezzare. Prova!

Tre concetti base:
1) i cavalli sono fondamentalmente animali da fuga.
2) sono claustrofobici
3) sono ansiosi e spesso soffrono di attacchi di panico.
Queste caratteristiche si attenuano quando si affidano a noi, delegandoci la funzione di capo-branco.
Buon lavoro!